Ilva: Panarelli, Fim Cisl;no alla cassa integrazione al buio
CISL PUGLIA - «Vogliamo che l’attenzione sul sito produttivo di Taranto rimanga alta, evitando ogni sottovalutazione sui rischi che, l’eventuale definitiva paralisi, potrebbe causare».
È l’appello lanciato dal segretario generale della Fim-Cisl di Taranto, Mimmo Panarelli, all’indomani del vertice istituzionale tenutosi nella città ionica, alla presenza del ministro Corrado Clini.
«Comprendiamo lo stato d’animo dei lavoratori dell’intero “gruppo Riva”. La tensione è palpabile. Questi padri di famiglia, molti dei quali con un mutuo sulle spalle, insieme ai tanti giovani desiderosi di farsi una famiglia – commenta Panarelli – non possono essere lasciati soli».
Quelle del segretario della Fim-Cisl non sono sicuramente parole di circostanza. Panarelli, insieme, all’intera organizzazione sindacale, sin dalla scorsa primavera (ancor prima del fatidico 26 luglio), ha sempre sostenuto le ragioni legate al risanamento ambientale, a patto che a pagare il prezzo più alto non siano i lavoratori. In tal senso dal vertice di ieri è traspirato qualche segnale non certamente confortante sul futuro occupazionale. Se la situazione non dovesse sbloccarsi entro pochi giorni, l’azienda potrebbe mettere in cassa integrazione straordinaria tra i 6 mila e gli 8 mila dipendenti.
«La Fim-Cisl – dichiara Panarelli – è contraria ad una eventuale cassa integrazione al buio. Vogliamo chiarezza sul futuro occupazionale di tutti i dipendenti dell’intero gruppo. Se l’obiettivo di un’eventuale cassa è quella di tagliare i posti di lavoro, noi non ci stiamo. Dall’azienda ci aspettiamo che adegui gli impianti rispetto a quanto previsto dall’Aia senza dichiarare – evidenzia Panarelli – alcun esubero strutturale. Chiedere una Cig per 6 mila o 8 mila unità lavorative equivale a chiudere lo stabilimento».
Tutto questo, in attesa di ulteriori sviluppi dal mondo istituzionale, anche alla luce della proposta, lanciata dal ministro Clini, di rimettere in marcia gli impianti, per poi occuparsi in un secondo momento del materiale sequestrato.
«Se non si rimettono in marcia gli impianti – conclude Panarelli – c’è il rischio che questo stabilimento rimanga fermo per sempre, sia per una questione impiantistica, sia a causa di un mercato che non permette soste».