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Democrazia economica in Poste Italiane: Slp Cisl, azioni ai dipendenti

Per il Segretario Oresta è la strada per il rafforzamento dell'azienda


Democrazia economica in Poste Italiane: Slp Cisl, azioni ai dipendenti

SLP -

Poste Italiane, la più grande azienda di servizi del nostro Paese, con i suoi circa 135.000 dipendenti, si trasforma in laboratorio di sperimentazione di forme di democrazia economica, già adottate in altri paesi più avanzati, vedi la Germania, e da sempre inserite nell’agenda di politica economica della Cisl.

Nicola Oresta, Segretario regionale del SLP-Cisl, sindacato maggioritario in Poste, con i suoi circa 4000 iscritti in Puglia e 63.000 a livello nazionale, ritiene questa l’unica strada percorribile per il rafforzamento dell’azienda Poste nel suo mercato di riferimento sempre più globale.

I dipendenti di Poste diventerebbero proprietari di una quota delle azioni di Poste nell’ambito di un processo più generale  di sola apertura del capitale ai privati e non di privatizzazione. In sostanza: il 60% sarebbe saldamente nelle mani dello Stato, mentre il restante 40% sarebbe ceduto ad investitori privati. Di questo 40%, il 3-4% del capitale sarebbe destinato ai lavoratori di Poste, tramite un aumento gratuito di capitale. Si tratterà di azioni in quota indivisibile, ossia non a disposizione di ogni singolo lavoratore, bensì ad appannaggio dell’intera popolazione postale, e un rappresentante degli stessi lavoratori, in forza di questa quota, entrerebbe nel Consiglio di Amministrazione. I vantaggi di una simile operazione sono palesi: innanzitutto, se questa operazione andasse a compimento, gli assetti di Poste si definirebbero in maniera stabile e duratura, scongiurando in occasione di ogni legge di stabilità il pericolo dello spacchettamento e della divisione dell’Azienda, per soli fini di far cassa. Nell’anno appena trascorso si è evitato la vendita di Poste Vita, ramo assicurativo da cui oggi deriva circa il 50% degli introiti aziendali, il cui valore di mercato risulta stimato in circa 4 miliardi di euro. Le conseguenze negative sarebbero state disastrose, quantificabili in una perdita di circa 30.000 posti di lavoro. In passato si è parlato dello scorporo e vendita del Bancoposta, settore invidiato dall’intero sistema finanziario del nostro Paese e su cui i poteri forti della finanza hanno di frequente posato lo sguardo al fine della relativa acquisizione. Le conseguenze, ancora più gravi, sarebbero state quelle della creazione di una good e bad company. La prima, privatizzata, ad appannaggio dei soliti noti, la seconda (recapito), chiaramente in perdita, a carico della fiscalità generale. Il nostro Paese è pieno di simili esempi. Per quanto invece attiene alla destinazione di quote di azioni ai lavoratori, questo comporterà la loro corresponsabilizzazione nelle sorti aziendali, unitamente ad un prevedibile aumento di produttività, favorito dalla partecipazione agli utili aziendali. In sostanza, un miglioramento complessivo del servizio, con beneficio per tutti, per la clientela, per la pubblica utilità, per l’intero Paese. Cosa oggi accade nelle dinamiche relazionali tra dipendente e datore di lavoro: se le cose in azienda vanno bene, se ci sono fatturati, se i bilanci sono in attivo, il lavoratore conserva semplicemente il proprio posto di lavoro e sempre ringrazia; se le cose invece vanno male le conseguenze sono i licenziamenti, cassa integrazione, lavoro a nero, sfruttamento e tutte quelle nefandezze che oramai il mercato del lavoro ci ha abituati a registrare. Nell’attuale contesto di desertificazione e lacerazione del tessuto imprenditoriale, tale operazione, se realizzata, rappresenterà un esempio di grande responsabilità, di modernizzazione delle relazioni industriali, di rafforzamento della stessa Azienda, nella convinzione consolidata che prevenire è meglio che curare.

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