Autonomia regionale: Fumarola, valori costituzionali a rischio. Emiliano ci ripensi

Non siamo convinti che i processi messi in atto da alcune regioni per arrivare alla cosiddetta autonomia differenziata siano in linea con i principi costituzionali di solidarietà e sussidiarietà. Verrebbero meno quei diritti e quelle garanzie sociali che, invece, la Legge fondamentale dello Stato assicura per tutti i suoi cittadini. Al momento la Regione Veneto ipotizza, e chiede con forza, maggiori risorse economiche rispetto a quelle attribuite fino ad oggi in materie vitali per il funzionamento del Paese nel suo insieme: infrastrutture, scuole e sanità. Così proprio quei valori costituzionali sarebbero i primi a decadere. In pratica a contribuenti più ricchi le regioni autonome assicurerebbero servizi sempre migliori con buona pace di chi paga le tasse al sud che, invece, dovrebbero accontentarsi delle esigue risorse dei bilanci regionali e degli enti locali. Stare al passo con il resto dell’Italia sarebbe un azzardo che pagherebbero per primi i cittadini. Una follia istituzionalizzata perché i territori più ricchi attiverebbero, in base all’autonomia, più investimenti. Al contrario quelli del Mezzogiorno d’Italia non potrebbero ridurre il gap evidente che, secondo le ultime indicazioni fornite da osservatori – anche internazionali – e istituti di statistica, bloccano la crescita economica del sistema paese. L’Ocse, per esempio, punta il dito contro il corpulento divario tra Nord e Sud in materie quali l’occupazione, l’accesso ai servizi e le scuole. Tutti elementi che l’autonomia fiscale e territoriale andrebbe ad appesantire. Che le disuguaglianze frenano la crescita lo ha ricordato anche il recente report dell’Osservatorio Banche Imprese: il Presidente Salvatore Matarrese ha sapientemente ricordato quanto il Sud avrebbe “bisogno spasmodico di investimenti, un programma, un piano che riesca a rompere l’isolamento in cui si trovano le regione del Meridione”. È la regola aurea delle economie del terzo millennio, quella secondo cui l’unione fa la forza e non il contrario. E’ il Paese nell’insieme delle sue Regioni che non può permettersi il lusso di disincentivare imprese e investitori a impegnare risorse nei territori con economie svantaggiate, facendo venir meno il più semplice principio alla base della crescita e dello sviluppo dell’intera nazione. Proviamo ad immaginare se dopo la caduta del muro di Berlino la Germania più economicamente agiata avesse tirato i remi in barca lasciando in mare aperto quella dell’Est. Se oggi è la nazione più forte di questa Europa lo si deve a scelte lungimiranti e attente rivolte a tutti i suoi cittadini. Per questo la Cisl Puglia crede che qualunque tipo di federalismo fiscale e di “egoismo territoriale” non dovrà mai intaccare i principi cardine della nostra Unità nazionale, ovvero quelli di solidarietà e perequazione verticale, oltre al modello universalista secondo cui ogni cittadino ha diritto all’accesso a servizi pubblici di qualità. Istruzione, assistenza, sanità, sicurezza, trasporti non possono essere oggetto di contesa politica. Per questo, lo Stato deve rimanere al centro di un sistema che assicuri equità delle risorse, livelli essenziali di prestazioni e compensazione delle realtà geografiche più deboli dove il saldo fiscale è inferiore perché inferiori sono occupazione e salari. Abbiamo letto con soddisfazione l’appello dell’economista Gianfranco Viesti che va nella direzione auspicata dalla Cisl. Quel suo riferimento all’articolo 117 della Costituzione è proprio il ‘vulnus’ delle richieste avanzate dalle Regioni autonomiste. Per questi motivi riteniamo incomprensibile l’avvio dell’iter per l’autonomia in chiave pugliese avviato dal Governatore Emiliano. Non lo condividiamo perché sarebbe un percorso pieno di insidie e di rischi per una Regione che, al contrario, avrebbe bisogno di fare squadra con i territori limitrofi e con il Centro Nord benestante per attivare interesse e convenienza invece di alimentare forme di ‘indipendenza decisionale’ che metterebbero a dura prova i conti dei bilanci delle regioni del Sud. In Italia è necessario guardare allo sviluppo generale di ogni singolo territorio se si vuole davvero competere, alle stesse condizioni, con gli altri Paesi europei.
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