Caporalato: editoriale di Daniela Fumarola sul quotidiano on-line In Terris
In gergo sono chiamati ‘braccianti’, cioè lavoratori della terra che prestano le braccia in campagna in cambio di una giusta retribuzione. Nella pratica sono tutte quelle persone che ci permettono, ogni giorno, di avere prodotti freschi per le nostre ricette: gli ortaggi, la frutta e tutte le delizie dell’agricoltura italiana che usiamo principalmente per nutrirci in maniera sana. Negli anni, però, l’occupazione agricola è stata colpita da un cancro che si insinua subdolamente nelle tavole. L’ultimo schiaffo al Sud che lavora è arrivato nei giorni scorsi con l’arresto di un caporale nelle campagne di Castellaneta, in provincia di Taranto, e di Matera. Manette ai polsi di un africano che sfruttava altri suoi connazionali e li costringeva a vivere in un tugurio per pochi euro al giorno. E’ solo l’ultima di una delle peggiori storie di degrado sociale che girovaga per la nostra penisola, pagine di cronaca che sporcano la dignità di migliaia di persone che nell’agricoltura hanno puntato tutto. Il ‘caporale’ recluta persone in grande difficoltà economica e lo fà, sovente, in nome e per conto di organizzazioni criminali che nulla hanno a che fare con dieta mediterranea o con la genuinità dei prodotti. Violenze e intimidazioni, imbarbarite da turni massacranti e salari indecenti fanno di questo fenomeno incivile una vera e propria emergenza nazionale che non può essere affrontata solo nei momenti in cui ci sconcertiamo delle notizie stampa sugli arresti o sulle morti bianche. La verità è che nella sola Puglia i terreni, direttamente o indirettamente attraverso prestanome, in mano alle mafie sfiorano i 2.500 e per il cui mancato utilizzo legale vanno in fumo tra i due e i 3 miliardi e mezzo di euro. Sono dati sconcertanti ma certificati dall’Inag, l’Istituto nazionale degli amministratori giudiziari. La Cisl ha sempre tracciato la strada maestra per venire fuori da questi modelli profondamente sbagliati, indicando nei servizi di intermediazione lavorativa che favoriscano l’inserimento regolare nel mondo del lavoro agricolo e nella stretta collaborazione tra imprese e sindacati, la possibile soluzione allo sfruttamento nei campi e al bando dell’illegalità in un settore, quello agroalimentare, che rappresenta una fetta importante della ricchezza della penisola. Alla fine del 2017 le aziende agricole, quelle censite e regolari, in Puglia erano circa 79 mila e occupavano 185.000 lavoratori. Un valore da non disperdere anche per tutti quei giovani che hanno scelto di creare il proprio futuro sull’economia sana dell’agricoltura: secondo uno studio della Coldiretti di qualche giorno fa, dei 30 mila under 30 che hanno presentato domanda per un insediamento di attività in questo settore, il 61% è del Sud. E che dire del boom di esportazioni all’estero che nell’ultimo anno ha riguardato i prodotti made in Puglia? A questo universo di legalità e impegno futuro è necessario fornire tutti gli strumenti per lavorare al meglio ed arginare i fenomeni di malaffare che ruotano intorno all’agricoltura, a partire dal caporalato. Possiamo e dobbiamo fare di più perché i comparti dell’agricoltura, che comprendono la trasformazione, l’artigianato, e l’industria alimentare si confermano un solido riferimento economico. Con la Legge 199 approvata nel 2016 che contrasta i fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e che prevede il riallineamento retributivo in questo settore, e per la quale la Cisl ha lottato in maniera convinta, abbiamo conquistato un traguardo storico, che introduce principi giuridici di assoluta civiltà. Abbiamo partecipato a definire un perimetro largo di responsabilità: mondo del lavoro, rappresentanze datoriali, Governo e Parlamento. E’ stato fatto un lavoro che può dare risultati importanti se, però, ora si procede con coerenza. Gli arresti di questi mesi dimostrano che la Legge funziona sul versante penale, ma dobbiamo fare di più per innalzare l’attenzione sull'altra gamba del contrasto: quella della prevenzione. Senza quest’ultima continueremo ad indignarci ogni volta che scopriamo nuove forme di schiavitù e di sfruttamento del diritto al lavoro. L’ulteriore aspetto da affrontare con convinzione è quello dei trasporti dei lavoratori stagionali, nelle cui pieghe si nascondono i comportamenti più velenosi del ricatto dei caporali. Ma bisognerebbe anche cambiare strategia. Quella messa in campo fino ad oggi è solo una parte della soluzione. In Puglia potremmo sperimentare forme nuove di lotta al caporalato se solo smettessimo di interrogarci quando accadono eventi che ci indignano. Poi, passata l’emergenza emotiva che scuote i nostri territori, si ritorna all’ordinarietà e al rimpallo delle responsabilità di chi potrebbe fare ma non ha fatto. Nei mesi scorsi i sindacati pugliesi hanno più volte rivolto appelli alla Regione Puglia affinché velocizzasse la costruzione di una nuova rete di accoglienza e servizi utili ad arginare la piaga del caporalato. Nulla di fatto. Ancora siamo in attesa che il governatore Emiliano ci risponda. L’ultima volta che abbiamo, come rappresentanti dei lavoratori, rivolto un appello a Emiliano è stato il 13 aprile 2017: da allora siamo in stand by. Come Cisl siamo convinti che la collaborazione, l’ascolto reciproco e la messa in campo di idee innovative siano fondamentali per la soluzione, condivisa, dei problemi del mondo del lavoro. Oggi si celebra in tutta Italia la Festa dei Lavoratori e la Cisl nazionale, insieme a Cgil e Uil sfilerà per le vie di Prato per invocare più sicurezza sul lavoro e chiedere di rispettare il dettame costituzionale nel suo primo articolo. Anche la lotta senza quartiere contro il caporalato rientra in quella sacrosanta richiesta di rispetto della sicurezza dei lavoratori agricoli, di qualunque etnia e genere che guardi alla centralità della persona nel lavoro.
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