Partecipazione al lavoro ed economia: Luigi Sbarra intervistato dal Quotidiano di Puglia

[Cisl Puglia]

D. Segretario Sbarra, anche in Puglia è partita la raccolta firme per governance d’impresa partecipata dai lavoratori: ci spiega in cosa consiste?

R. Abbiamo lanciato una grande sfida. A 75 anni dalla nascita della Costituzione è arrivato il momento di dare piena attuazione all’Articolo 46 che disciplina il diritto dei lavoratori a pesare di più e star dentro alle decisioni e agli utili delle imprese. Una “riforma istituzionale” per un nuovo rapporto tra capitale e lavoro. Il nostro progetto di legge contempla tutte le tipologie di partecipazione: gestionale, finanziaria, organizzativa, consultiva, delegando dinamiche e procedure alla contrattazione. L’obiettivo è avere salari più alti, maggiori investimenti, qualità e stabilità del lavoro, fermare le delocalizzazioni, maggiore produttività e controllo sulla sicurezza.

D. Il Pil italiano nel 2023 sale del +1,2% e rallenta a +1,1% nel 2024 secondo le previsioni Istat: quali sono secondo lei le prospettive economiche per il nostro Paese?

R. I dati del Pil sono incoraggianti grazie anche al lavoro e al senso di responsabilità di tanti italiani. Ma le prospettive economiche rimangono di grande incertezza. Bisogna affrontare con urgenza i nodi di una inflazione ancora molto alta, fermare la speculazione sui prezzi e tariffe, attuare gli investimenti del Pnrr, riformare fisco e pensioni con la necessaria condivisione sociale. Dobbiamo rinnovare i contratti pubblici e privati, detassare i frutti della contrattazione, adeguare le pensioni al costo della vita, rilanciare la sanità pubblica. Ad aprile e maggio ci siamo mobilitati in tutta Italia per riallacciare il dialogo con il Governo su questi temi. Un’iniziativa che ha dato i suoi frutti: oggi abbiamo un fitto cronoprogramma di incontri. La Cisl resterà inchiodata al negoziato, con responsabilità e intransigenza. Aspettiamo il Governo alla prova dei fatti.

D. E’ una fase turbolenta anche per la gestione del Pnrr. Al di là delle singole polemiche, ritiene valida ancora l’impostazione del Piano di ripresa e resilienza per l’Italia e, in particolare, per il Mezzogiorno?

R. Il Pnrr, insieme alle altre dotazioni nazionali ed europee, rappresenta un’occasione imperdibile per dare gambe al progetto di crescita e sviluppo di tutto il Paese, in particolare per il Sud. Se c’è da rimodulare i progetti e la spesa, lo si faccia con il concorso di tutti i soggetti istituzionali e delle parti sociali. Gli obiettivi sono comuni e devono unire, non dividere: far crescere il Paese, puntare all’ incremento ed al miglioramento dell’occupazione, specialmente giovanile e ancor di più femminile, sulla formazione e su leve di fiscalità di sviluppo che attirino capitali produttivi freschi, sia pubblici che privati, sul potenziamento di infrastrutture materiali, energetiche e sociali, il godimento ad ogni latitudine dei diritti di cittadinanza. Su queste basi bisogna costruire insieme un modello di sviluppo che sia più equo, inclusivo e sostenibile, per il Sud, per l’Italia e per l’Europa. 

D.A proposito di Pnrr, accentramento o no nella gestione?

R. E’ giusto che ci sia una cabina di regia nazionale che coordini ed inserisca ogni progetto in una visione organica di politica di sviluppo. In passato c’è stata troppa frammentazione nell’utilizzo dei fondi nazionali ed europei. Detto questo, la governance deve anche garantire il massimo di partecipazione dal basso, e in questo non può che partire dai territori per assicurare condivisione sulle scelte, accelerazione dei progetti, contrasto all’illegalità, controllo puntuale sul rispetto dei tempi e sulla buona qualità della spesa. Sindacato, imprese ed enti locali devono essere dentro i processi di decisione e di controllo anche per verificare insieme eventuali situazioni di debolezza e individuare nuovi obiettivi e priorità. 

D. Altro tema divisivo è quello dell’autonomia differenziata con un folto schieramento di governatori che ha bocciato il provvedimento del ministro Calderoli: è uno spauracchio per il Sud Italia?

R. Non abbiamo una posizione pregiudiziale se questo significa responsabilizzare le amministrazioni regionali e garantire e migliorare la qualità dei servizi, senza che questo mini in alcun modo i principi di coesione, solidarietà unità nazionale. Bisognerà partire dalla definizione condivisa dei livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi fabbisogni e costi standard, connessi a diritti di cittadinanza che lo Stato deve garantire in modo uniforme sull’ intero territorio nazionale. Altrettanto importante è assicurare adeguate forme di perequazione per i territori con minore capacità fiscale, a partire dal Mezzogiorno e dalle aree interne del Paese. Riteniamo poi che una riforma di tale importanza debba essere progettata ed attuata con il pieno coinvolgimento del Parlamento, del sistema delle autonomie locali e delle parti sociali. 

D. Riforma del mercato del lavoro: cosa pensa del nuovo Dl lavoro?

R. Nel merito, è stata positiva l'operazione sul cuneo fiscale, che recepisce nostre precise richieste ma che ora va rafforzata, resa strutturale e collegata a una riforma complessiva del fisco a favore di lavoratori, pensionati, famiglie. Anche sui fringe benefit l'aumento della soglia di detassazione è opportuno ma va garantita una soglia anche per chi non ha carichi familiari. Giusto intervenire sulle causali dei contratti a termine, ma la precarietà si combatte agendo sul piano dei costi e non delle regole. Bisogna incentivare il tempo indeterminato, in particolare le forme ad alto valore formativo come l'apprendistato. La flessibilità deve essere negoziata e molto meglio pagata di come non lo sia ora. Dobbiamo fare in modo che i contratti a termine costino di più rispetto a quelli stabili. E quel di più deve alimentare un fondo di solidarietà nazionale per garantire pensioni dignitose ai giovani. Sbagliato l’Intervento sui voucer.

D. Lavori precari e gig economy, tante posizioni non sono rappresentate dal sindacato: come ovviare a questa situazione?

R. Tante nostre categorie si occupano già da tempo del lavoro su piattaforma e delle altre forme ibride e flessibili di occupazione. Dobbiamo dare risposte di tutela contrattuale e di vera protezione sociale a questi lavoratori, riconoscere maggiori diritti non solo sul tema di un salario dignitoso e di natura contrattuale, ma anche su previdenza, malattia, sicurezza, formazione continua, maternità, contrasto ad ogni forma di discriminazione. Bisogna fare un investimento serio nella riqualificazione professionale e nelle politiche attive per il ricollocamento ed un esercizio contrattuale che punti su welfare sociale, formazione e partecipazione.

D. In Puglia c’è una macrovertenza in stallo da undici anni. Il bubbone Ilva è scoppiato nel 2012 e ancora oggi ci sono problemi di governance, economici e la storica diatriba ambiente-lavoro: come dare una sterzata?

R. E’ indispensabile fare chiarezza sul presente e sul futuro di Ilva. La gestione dell’impianto siderurgico non rispetta il confronto con le organizzazioni sindacali, usa unilateralmente gli ammortizzatori ma soprattutto tiene frenata e troppo bassa la produzione di acciaio arrivata al suo minimo storico. Così l’ex Ilva rischia di implodere. Al governo chiediamo di non aspettare aprile 2024, ma di portarsi subito alla maggioranza del capitale sulla base delle norme approvate e varare quel piano di rilancio produttivo che i sindacati da tempo indicano come indispensabile a partire dall’ammodernamento di Afo 5 e dalla verticalizzazione delle produzioni. 

D. Il futuro del Siderurgico può essere gestito grazie all’idrogeno? 

R. La decarbonizzazione è la strada per rendere sostenibile definitivamente la produzione di acciaio a Taranto. Servono subito nuove tecnologie ambientali per aprire subito una nuova stagione nella produzione. Ci sono stati troppi ritardi ed omissioni. Sull’ idrogeno non siamo ancora giunti a tecnologie industriali valide, ma è un fronte su cui sicuramente investire. 

D. Anche altre vertenze in campo, come l’automotive nel Barese: il 19 giugno il ministro Urso ha convocato i sindacati per una discussione generale. 

R. La convocazione è positiva, ora bisogna passare da una fase di ascolto al varo concertato di politiche industriali condivise che rilancino e sostengano i settori dell’automotive, siderurgia, elettrodomestico, chimico. E poi ancora tessile e costruzioni, l’informatica e l’agroalimentare, tlc e terziario avanzato. Tutti asset strategici travolti da enormi forze centrifughe determinate dalla crisi e dalle transizioni gemelle, digitale ed energetica. Dinamica che, senza adeguati investimenti, rischia di precipitare il sud in nella desertificazione industriale. 

D. Inevitabile intervenire anche sulla sicurezza con tanti casi di morti bianche anche in Puglia

R. La sicurezza sul lavoro rimane una grande emergenza nazionale su cui serve un fronte comune tra istituzioni, imprese, sindacati. Servono più controlli, prevenzione, informazione, più sanzioni per chi non rispetta le norme su sicurezza e salute, l’istituzione di una patente a punti per le imprese virtuose, eliminare il pericolo dell’amianto. Nell’incontro con la ministra Calderone del prossimo 22 giugno ribadiremo la necessità di un sistema sanzionatorio e di vigilanza più incisivo anche attraverso un maggior coordinamento ed il potenziamento degli organici degli enti preposti, affiancato ad un modello di qualificazione delle imprese che premi i comportamenti virtuosi a partire dalla corretta applicazione dei contratti e delle norme vigenti.  Se vogliamo fare un salto di qualità culturale è poi importante inserire nei programmi scolastici il tema della formazione della sicurezza. È fondamentale, che anche l’innovazione tecnologica venga messa al servizio della salute e sicurezza dei lavoratori, non soltanto dei profitti.

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